Il porto di Bari
Il nuovo porto di Bari a fine 800

In un rescritto reale del 20 marzo 1852 veniva affidato all’ing. Luigi Giordano l’incarico per la progettazione del nuovo porto di Bari e, con ordinanza dell’anno successivo, veniva stabilito che l’erario provinciale finanziasse l’opera per trentamila ducati l’anno.

Ma la prima pietra per la costruzione del nuovo porto, benedetta dall’Arcivescovo Clary, fu posta solo il 13 maggio 1855 con solenni festeggiamenti nella Chiesa di San Ferdinando a Bari. La cerimonia venne accompagnata dal rito letterario in voga a quei tempi trasformando la chiesa in una “accademia della poesia”. 

Tra i tanti che si cimentarono, solo Giovanni Chiaia, meritava il nome di poeta. Declamò un discorso in prosa per l’occasione, e ciò che lesse lo riteneva valido anche se riletto nel tempo a venire:

“Ed ei mi è già in cospetto, o Signori, come questo porto di Bari debba riuscire un grande emporio di commercio nell’Adriatico, nelle novelle condizioni del traffico e delle attinenze che già si apparecchiano tra il Levante e l’Occidente.” 

Con l’avvio della costruzione del nuovo porto, nel più ampio seno di mare ad ovest della città, che si estende dalla penisoletta su cui sorge la città vecchia (San Pietro), fino a quella di San Cataldo, in prossimità della Fiera del Levante, completato solo nel 1905, nella configurazione del progetto borbonico, i capitani baresi scesero dai trabaccoli, pielaghi, golette e brigantini, per salire sui piroscafi a vapore.

Superfluo affermare di quanto ne fossero avvantaggiati la navigazione, i traffici e il commercio dell’intera provincia e, come vedremo, con la nascita di “Puglia”, Società di Navigazione a Vapore, dell’intera regione. 

Ma già con l’Unità d’Italia, ancor prima che il nuovo porto fosse del tutto completato, si resero necessari lavori per il suo miglioramento e rafforzamento. La qual cosa assunse tale importanza da essere posta all’attenzione del governo Ricasoli dal deputato Giuseppe Massari, durante la discussione del “Disegno di legge per il miglioramento del porto di Ancona” 

La fase risorgimentale non era ancora conclusa, il lombardo-veneto era ancora sotto il dominio austro-ungarico ed era necessario quindi rafforzare la dorsale adriatica, esposta ai pericoli della marina Austro-Ungarica. 

Il porto di Ancona, ben si prestava come punto di difesa dello stato dalla flotta nemica e, nel contempo, poteva offrire un valido riparo alle navi, in caso di bisogno. Inoltre, dei lavori di ampliamento e rafforzamento del porto di Ancona, se ne sarebbe avvantaggiata anche la marina mercantile e l’economia dell’entroterra marchigiano. 

In quella circostanza il deputato Massari fece notare al ministro dei lavori pubblici Ubaldino Peruzzi che lungo la dorsale Adriatica, oltre ad Ancona, vi erano i porti di Brindisi e Bari che ben si prestavano a luoghi sicuri per il ricovero di navi militari, e quindi, anche per questi si rendeva necessario finanziare lavori di ammodernamento e rafforzamento.

Alle osservazioni del Massari il ministro dei lavori pubblici faceva notare che il porto di Bari, assieme a quello di Mola di Bari erano già contemplati tra quelli da migliorare, presenti nella relazione della Commissione per il miglioramento dei porti, che fu istituita dall’onorevole Devincenzi quando era consigliere o ministro dei lavori pubblici a Napoli. Tra l’altro, aggiunse il ministro Peruzzi, in quella relazione vi erano anche il porto di Brindisi, al quale l’onorevole Massari alludeva, e i porti di Taranto e di Otranto.

Intanto la città di Bari si allargava e la sua popolazione cresceva rapidamente.

Gli anni successivi al 1870 registrarono notevoli progressi nel campo delle attività industriale e commerciale. Si impiantarono nuove aziende meccaniche, fabbriche di cera, di carta e di mobili e questo attraeva sempre più professionisti, operai, commercianti e famiglie di imprenditori provenienti da Trieste, dalla Liguria, come i Rocca e gli Aicardi, ma anche i nizzardi Suè e Garibaldi (Felice 1813-1855) agente di Compagnia di Navigazione e produttore di olio, ma anche da Francia e Germania come i tedeschi Marstaller, Zublin, Linderman, Nickmann, Hausman e Liebe, i provenzali Ravanas, e gli Sbisà che provenivano dalla lontana Rovigno, oggi città slovena, che a quei tempi era sotto l’impero Austro-Ungarico.

In particolare, gli insediamenti di imprese tedesche in Puglia hanno almeno due secoli di storia. Una prima presenza imprenditoriale tedesca in Terra di Bari può essere fatta risalire, nella prima metà dell’800, dalla famiglia dei Marstaller che avevano fondato, con la famiglia Zublin, anch’essa tedesca, una manifattura tessile (filanda) che poi sarebbe stata guidata nella seconda metà dell’800 da Alberto Marstaller, il più noto discendente di quella famiglia. 

I Marstaller assieme agli Hausman  erano anche agenti principali in Bari della compagnia di assicurazioni ELVEZIA, nel ramo incendi, con sede in S.Gallo (Svizzera) e della società anonima di Assicurazioni ZURIGO con sede a Zurigo, nel ramo infortuni, attraverso la società Marstaller Hausman & C., sin dal 1886, la cui sede era in Piazza Ateneo, 12 a Bari.

Alberto Marstaller fu tra i fondatori, insieme ad altri imprenditori pugliesi, della Società anonima di navigazione “Puglia” con navi a vapore, con le quali trasportava sui mercati del Mediterraneo le derrate agricole e i prodotti agroindustriali di una manifattura barese, allora molto dinamica, ma anche del suo entroterra. 

Anche un altro imprenditore di origini tedesche, Guglielmo Lindemann, trasferì da Salerno a Bari nel 1850 la sua officina (che venne ampliata rispetto a quella originaria) per la costruzione di macchine a vapore, torchi, presse e altre tecnologie per il sistema agroindustriale. In questa fabbrica lavorarono qualche centinaio di operai. Lo stabilimento, per la dimensione e la varietà delle produzioni, rimase a lungo un punto di riferimento per la meccanica locale. Si può affermare, dunque, che vi è stata sin dall’800 in Puglia, e soprattutto in Terra di Bari, una presenza riferibile a imprenditori di origini tedesche che avevano individuato nel dinamismo dell’economia locale e nella sua crescente domanda di tecnologie e di beni di consumo, un mercato ‘conveniente’ ai fini della localizzazione di loro nuovi investimenti.

Costoro vedevano nella città di Bari opportunità per lo svilupparsi di un mercato dinamico ed interessante dal punto di vista economico, che ben si prestava agli affari. La produzione delle botti da vino si andava rapidamente sviluppando e le fabbriche baresi che producevano fusti da trasporto e da cantina per olio e vini non avevano rivali in tutta Italia. 

Il fermento economico coinvolgeva l’intera Provincia, soprattutto Molfetta, dove sorsero stabilimenti, officine e pastifici che davano lavoro a tantissimi operai. 

Nel porto di Bari si notava un movimento ed un traffico mai visto prima. Anche le numerose navi, provenienti da porti nazionali ed esteri attraccavano ai moli per caricare e scaricare merci di ogni genere, prodotte nella città di Bari ma anche dall’entroterra barese, soprattutto vino e olio, seguendo le consuete rotte adriatiche del vino e dell’olio, fino a Venezia, toccando i porti austro-ungarici di Trieste, Fiume e Lussino e dalmati di Zara. Ma anche lungo l’alto Tirreno, raggiungendo il porto di Nizza, Cette (attuale Sete) e Marsiglia.

I volumi di tanto commercio fecero emergere i limiti della marineria barese che faceva cabotaggio con barche di piccola portata e non poteva certo competere con le compagnie di navigazione genovesi e palermitane che si stavano rapidamente sviluppando in Italia, ed estere, soprattutto francesi, per via della presenza nel mediterraneo di porti importanti come Marsiglia, e Cette (attuale Sete), e in atlantico con i porti di La Rochelle, Bordeaux, Cherbourg, Boulogne-sur-Mer e Le Havre. Inoltre il sistema portuale pugliese nonostante ricco ed articolato lungo tutta la costa, nel 1867 era distribuito tra la terza classe, in cui si trovavano il porto di Bari e Molfetta, e la quarta, dove erano collocati i porti di Barletta, Monopoli, Mola di Bari, Otranto e Gallipoli, oltre al vecchio porto di Bari. A nulla valse il voto del Consiglio comunale di Bari al Governo affinché il nuovo porto barese, per i vantaggi che ne sarebbero derivati alle provincie meridionali, venisse definito nazionale. La ragione avversa, a detta del Ministro ai lavori pubblici fu che in considerazione del movimento delle navi, in entrata e uscita dal porto e le relative entrate doganali negli anni 1861-63, il porto di Bari poteva essere ascritto solo in terza classe. Fu solo nel giugno del 1885, con la nuova classificazione dei porti, secondo la legge del 16 luglio del 1881 che il porto di Bari e Barletta, dalla terza classe, passarono alla seconda categoria.

Intanto con l’annessione del lombardo-veneto avvenuto all’indomani della terza guerra d’Indipendenza del 1866, al fine di rafforzare il sentimento nazionale, il governo volle estendere i servizi postali e marittimi anche alla città di Venezia. Il collegamento al resto d’Italia lungo la dorsale adriatica, era divenuto strategico per il commercio marittimo, sia per connettere i mercati europei attraverso il Brennero, al porto di Venezia, sia in previsione dell’imminente apertura del Canale di Suez, che avrebbe aperto la via orientale delle Indie e del Giappone. 

In tale contesto il Consiglio provinciale e la Camera di Commercio di Bari avevano deliberato e posto all’attenzione del Governo la necessità di far approdare nel porto di Bari i piroscafi della Società di navigazione Adriatico-Orientale, a cui il governo stava affidando in convenzione il prolungamento fino ad Ancona e Venezia, del servizio postale e commerciale marittimo, lungo la tratta già in esercizio tra Brindisi ad Alessandria d’Egitto. 

Il tentativo fallì, in quanto la fermata dei piroscafi nel porto di Bari avrebbe allungato notevolmente i tempi di percorrenza, con pregiudizio alle merci trasportate.

Nell’aprile del 1882 il ministro dei lavori pubblici del IV Governo Depretis, Alfredo Baccarini, sostenne la necessità di effettuare lavori nel porto di Bari e Brindisi finanziati dal governo e, l’anno successivo, durante la visita nei due porti, manifestò la volontà di dichiarare il porto di Bari di prima categoria. Le cose andarono diversamente.

Nel giugno del 1885, con la nuova classificazione dei porti secondo la legge del 16 luglio 1881, il nuovo ministro dei lavori pubblici Francesco Genala del V Governo Depretis, il porto di Bari passò dalla terza alla seconda categoria, assieme al porto di Barletta, che si trovava in quarta categoria, a cui si aggiunse poco più tardi anche il porto di Molfetta.

Intanto gli interventi di miglioramento del porto di Bari procedevano. Nel 1888 furono compiuti gli studi a Roma del primo braccio del molo finanziata con la legge del 14 luglio 1889 per un importo di 540 mila lire. I lavori servirono anche per liberare il bacino dai detriti portati dalla corrente che da Venezia scende verso il mar Jonio, e la costruzione del pennello, partendo dalla punta di S.Cataldo, al fine di impedire l’interramento del bacino ed assicurare la tranquillità delle acque del porto. Ciò si rendeva necessario anche perchè, le costruzioni delle case arrivano fino alla spiaggia e quando imperversavano le tempeste, le acque del mare arrivano fino alle abitazioni, come era già accaduto fino al 1885. Inoltre furono finanziati, a partire dal 1892, i lavori di costruzione dei piazzali dove deporre i binari della ferrovia e della tramvia.

I lavori però stentavano ad iniziarsi non ostante la Camera di commercio di Bari e La Provincia avessero stanziato e reso disponibile un cofinanziamento dell’opera. L’inerzia del Governo ad iniziare i lavori spinse i deputati Vito Nicola Di Tullio De Nicolò (de Nicolò) e Giuseppe Capruzzi ad intervenire in parlamento, evidenziando i danni di questo indugio, chiedendo con una interrogazione al Ministro dei lavori pubblici Alfredo Baccarini “se e quando avrà luogo l’appalto per la costruzione del pennello e del piazzale nel porto di Bari”.

Il ministro dei lavori pubblici Francesco Genala tranquillizzò il Capruzzi dicendo che le “due opere, il pennello e il piazzale nel porto di Bari erano già state autorizzate dalla legge del 14 luglio 1889. Inoltre, nel bilancio del 1892-93, non ancora approvato dall’altro ramo del Parlamento, è stata stanziata una somma di 70 mila lire, anche se, insufficiente, non solo a costruire, ma anche ad iniziare l’opera dal costo complessivo di 540 mila lire. Aggiunse che nel bilancio proposto per il 1893-94, sarebbe stata stanziata un’altra somma di 70 mila lire e il  Ministero, non appena ottenuta l’approvazione del bilancio 1893-94, avrebbe appaltato i lavori per l’esecuzione dell’opera. Il ministro aggiunse che, con la legge sulle opere idrauliche, votata dalla Camera, furono diluiti gli stanziamenti e quindi, essi non sono più distribuiti come aveva disposto la legge del 1889, ma procrastinati a lungo termine.

Per queste ragioni l’appalto non poteva esser fatto nel corso del bilancio 1892-93 ma differito nell’esercizio 1893-94. Resta il fatto, concluse il ministro, che, se il Comune, la Provincia, o la Camera di commercio di Bari volessero affrettare i lavori, potevano seguire la via che la stessa legge del 1889 indica, e cioè, anticipare i fondi. In questa ipotesi si potrebbe già procedere all’esecuzione di quest’opera.”

Con la costruzione di un molo secondario, il molo Pizzoli, che divenne però operativo solo a partire dal 1905, il progetto borbonico sorto nel 1855 con l’obiettivo di dotare la città di Bari di un nuovo porto mercantile potè ritenersi concluso.

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